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Sclerosi multipla, speranze
dal trapianto di staminali del sangue

Un piccolo studio condotto su 24 pazienti con sclerosi multipla recidivante-remittente, pubblicato su JAMA Neurology da un gruppo di esperti guidato dal ricercatore del Colorado Blood Center di Denver Richard Nash, suggerisce che un trattamento basato su una terapia immunosoppressiva seguita da un trapianto autologo di cellule staminali del sangue potrebbe aiutare i malati che vanno incontro a ricadute con perdita delle funzioni neurologiche durante il trattamento con i cosiddetti farmaci modificanti la malattia.

Quella recidivante-remittente è la forma più frequente di sclerosi multipla. A caratterizzarla è l’alternarsi di fasi in cui la malattia sembra arrestarsi e di ricadute che alterano le funzioni neurologiche. I risultati pubblicati su JAMA Neurology rappresentano i dati intermedi di uno studio attualmente ancora in corso che prevede di monitorare la salute dei pazienti per 5 anni dopo una terapia mirata ad abbattere le difese immunitarie seguita da un trapianto di cellule staminali del sangue prelevate dallo stesso paziente in cui sono state successivamente trasferite (un trapianto, cioè, autologo).

A 3 anni dal trapianto l’efficacia del trattamento è parsa netta e duratura: il 78,4% dei pazienti non ha mostrato alcun segno di ricomparsa della malattia, ricaduta, comparsa di nuove lesioni nel sistema nervoso (tipiche della malattia) o perdita di funzioni neurologiche. Nel 90% circa dei casi non è stato rilevato nemmeno un segno clinico di progressione della patologia.

Secondo gli autori questi risultati suggeriscono che in alcuni casi una forte immunosoppressione potrebbe aiutare a riorganizzare il sistema immunitario, facendo venire meno la reazione autoimmune che causa i danni tipici della sclerosi multipla. Resta però da capire se questo effetto sia davvero duraturo e se i suoi benefici siano superiori rispetto ai rischi associati a una forte immunosopressione (ad esempio gravi infezioni o tumori). Se ulteriori studi confermeranno la validità di questo approccio a trarne beneficio, in futuro, potrebbero essere i pazienti nel cui caso le terapie oggi disponibili non sono efficaci.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 26 giugno 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: immunosoppressione, sclerosi multipla, trapianto



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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